Il numero di febbraio di linus – lo storico mensile sui fumetti nato nel 1965, oggi diretto da Igort e pubblicato da quasi un anno da Baldini+Castoldi (acquisita ancora un anno prima al 95% da La Nave di Teseo) – s’è vestito a festa per omaggiare Hayao Miyazaki, che il 5 gennaio ha nel frattempo compiuto 78 anni.
Anfitrione d’eccezione, Paolo Bacilieri: autore della copertina in stile “tutti insieme appassionatamente” e in evidente stato d’euforia incontrollata, che ritrae il maestro dell’animazione mondiale alla guida di un’Ape Piaggio stipata di gran parte dei suoi amati personaggi televisivi e cinematografici. L’idea visivamente è molto “intrigante”, così si usava dire una volta, ma di certo non nuova: ricordiamo certe fanzine nipponiche apparse nei primi anni Ottanta, che traevano godimento da escamotage molto simili sistemando sempre Miya-san alla guida di uno storico veicolo della sua fenomenologia animata (quindi: Fiat 500) e attorniato dalle sue inseparabili creature in pose artistiche a ripetere le più celebri azioni compiute su piccolo schermo.
Che poi le pagine iniziali di questo numero di linus siano occupate da alcune tavole del Little Nemo di Winsor McCay è un appiccicare (in)consciamente il naso a un mondo fantastico e immaginario che il Nostro ha già provveduto a fare, dal momento che il Piccolo Nessuno è stato il film animato dei primi anni Ottanta che Miyazaki e il socio-maestro Isao Takahata tentarono di portare in animazione, in mezzo ad artigiani europei, co-produttori americani, concorrenti e colleghi di indisciplinata arguzia: Osamu Dezaki, Yoshifumi Kondo e altri ancora. Ciò che invece ci attende su linus qualche pagina oltre è un fin troppo calcolato sfoggio di interventi informativi e critici sul regista giapponese, con un bel ricordo dello stesso Igort in forma di fumetto e l’altrettanto bell’articolo “La fantasia non è una stanza chiusa”, in cui Andrea Raos rovista nei volumi illustrati di Miyazaki più noti come i suoi personali taccuini. La generale impressione tuttavia è che perfino linus si sia adeguato all’italianità di operazioni editoriali del genere che prevedono l’approfondimento-barra-temino dell’esimio professore, la puntuale rivelazione della poetica miyazakiana di un esperto-barra-critico e una costellazione di arcinote considerazioni.
Ciò detto, al termine della lettura del numero, uno si chiede legittimamente: ma allora noi per chi li scriviamo i libri? E qui parlo egoisticamente di me stesso e dei miei saggi a tema ghiblico (e su Takahata in particolare, come l’ancora disponibile The art of emotion). Di certo non per l’esimio professore. Né tantomeno per chi redige le didascalie e mi piazza a pagina 21 una foto in bianco e nero di Miyazaki e Yasuo Otsuka, il quale però viene scambiato per Takahata. Della serie: avete mai visto il sensei Isao con il berretto di Otsuka in testa? Io no. E ancora, poco distante, scritto grande come se fosse verità depositata da dio in persona, l’input informativo che proclama: «Nel 1985 Hayao Miyazaki, Isao Takahata, Toshio Suzuki e Yasuyoshi Tokuma fondano il celebre Studio Ghibli». Eh no, mica vero. Takahata non è mai apparso tra i co-fondatori dello studio in quanto “appoggiò” la nascita di quello studio per agevolare la carriera del suo giovane amico, ma non fremeva di lavorarci.
E qui arriviamo al fumettino di Guarnaccia & Moccia incentrato proprio su Takahata. A me pare un colossale misunderstanding nato (e sviluppato) per ovvie ragioni “artistiche” e di sintesi. Non fosse che ci recapita così facendo una delle più sbrigative versioni biografiche sul regista smaterializzando la poetica artistica (vera) della coppia Takahata/Miyazaki, di come si conobbero e di come praticarono l’arte della protesta ai tempi Toei e di come trasformarono quella protesta in arte dello spettacolo. Soprattutto, il fumettino sgancia una tonnellata escrementizia sul glorioso studio Toei Doga, che non fu mai un paradiso terrestre per animatori e disegnatori alle prese con migliaia di cels da disegnare alla settimana, ma neanche il campo di lavoro immaginato dai due giovani Guarnaccia & Moccia con gli animatori ritratti tristi-tristi a fianco dei più pimpanti eroi della tv anni Sessanta.
Dunque, un numero certamente non miracoloso come ci auguravamo, però il linus in salsa Miyazaki almeno aiuta a capire che forse per omaggiare un regista come lui sarebbe sempre opportuno far parlare chi davvero lo conosce (eh dai, non vorrete dire che Igort non ha i contatti giusti per arrivarci?), passando per la sempre apprezzata arte dell’omaggio artistico “esterno” come hanno provato a fare i tipi di Ynnis/Animeland con il volume francese Ghibli. Les Artisans du rêve. Altrimenti, Igort e suo fumetto a parte, finisce che la stupenda illustrazione di Bacilieri conduca l’allegra brigata Miyazaki in un insignificante vicolo cieco.
– Mario A. Rumor
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