Giorgio Amitrano
“Iroiro. Il Giappone tra pop e sublime”
brossurato con alette, 240 pp in b/n
DeA Planeta Libri, € 16,00
Un libro così poteva scriverlo soltanto lui. Ci perdonerà Giorgio Amitrano (nel foto qui in basso) se rubiamo un suo ricordo privato, e un frammento di prefazione. Nipponista di fama, professore di letteratura giapponese all’Orientale di Napoli e traduttore di scrittori come Banana Yoshimoto, Haruki Murakami, Kenji Miyazawa e Yasunari Kawabata, in effetti Amitrano ha posto rimedio in un colpo solo a una insopportabile mancanza. Un libro sul Giappone come questo serviva davvero, e lo si attendeva con impazienza. Per riprendere le confidenze offerte nella sua prefazione, d’altro canto, Iroiro. Il Giappone tra pop e sublime è l’esaudimento di un intimo desiderio che l’autore covava da parecchio tempo. Scrivere cioè un saggio su quel mondo, così lontano ma ormai così vicino, che non fosse un mero esercizio accademico, bensì un percorso libero dal rigore scientifico allo scopo di raccontarlo anche a un pubblico di non specialisti sul filo di un fascino ostinatamente in bilico nelle sue declinazioni più popolari o contradditorie.
Dopo poche pagine, Iroiro lo abbiamo subito immaginato come un coltissimo manuale di istruzioni per meglio avvicinare quella cultura e un popolo che riteniamo di conoscere ma così non è. Un manuale di istruzioni a cui basta perfino un haiku o una poesia di Kenji Miyazawa, scritta alla sorella morente, per fornire una chiave di accesso, una scorciatoia decisamente intellettuale, ma mai soverchiante, per penetrare un mondo intero in cui un singolo termine (e prendiamo giustappunto “iro”, colore, che raddoppiato a comporre il titolo di questo libro diventa “varietà”) si apre a una molteplicità di interpretazioni e significati.
Iroiro. Il Giappone tra pop e sublime è un impareggiabile memoir delle sensazioni, delle suggestioni e delle scoperte che Amitrano riporta in prima persona raccontando spesso la sua esperienza di vita e lavoro nell’Arcipelago, tra Tokyo e Osaka, lasciando scivolare abilmente a partire da questa alcuni temi (scrittura, cerimonia, bellezza, stagioni, karaoke), attraverso i quali si diramano poi direttrici prelevate dalla letteratura, dal teatro, dalla cultura pop (non crediate che manga e anime restino in disparte…), dal cinema o da antiche tradizioni che, proprio lì, assurgono a vera e propria arte. Un’altra immagine che viene in mente leggendo questo saggio è quella dei resoconti dal Giappone di Italo Calvino pubblicati in Collezione di sabbia (1984). Uno sprofondare raffinato in quella cultura che è totalizzante.
È proprio questa abilità che ha Amitrano a rifuggire l’usuale, senza
cioè mai trattare il Sol Levante nell’ovvia maniera che ci si aspetta di
leggere (e purtroppo libri così ne esistono parecchi in circolazione
che fanno del banale turismo verbale), a dare al suo Iroiro una
piacevolezza zen e una familiarità con le guest star coinvolte che
instaurano una certa urgenza nel lettore invogliandolo a fare ammenda
nei confronti di colpevoli mancanze. Nel nostro caso, talvolta andando
ad affrontare sfide impervie, magari con il recupero del Genji Monogatari nella
nuova traduzione di Maria Teresa Orsi per Einaudi, oppure riprendendo
in mano il tosto Kenzaburo Oe. Con la segreta speranza di partecipare,
proprio come durante una sessione di karaoke, alla medesima esperienza
passionale di Amitrano, senza provare imbarazzo o timore di sfigurare al
cospetto dell’autore.
– Mario A. Rumor
Nessun commento:
Posta un commento