Come molti appassionati sanno, la mattina dell’Immacolata 2019 ci ha lasciato Federico Memola, redattore di FdC dal 1990 al 1993 (ne ha parlato con tanto affetto qui il nostro Marcello) e poi sceneggiatore per Intrepido e diverse testate Bonelli, Star, San Paolo, Arcadia.
Amici e colleghi stanno organizzando un’asta
di solidarietà per ricordarlo (qui accanto la prima immagine, con un bel disegno di Giancarlo Olivares). I proventi andranno a sua moglie Teresa,
bravissima disegnatrice e tra i pionieri del manga in Italia come Federico lo era del fantasy a fumetti, per aiutarla un po’
in questi tempi duri e farle sentire il nostro affetto. Inoltre sarà un tributo al grande professionista che
è stato in oltre 30 anni di carriera. Molti autori importanti hanno già aderito: Federico era molto amato dai fan ma anche dai colleghi.
Nel mese di giugno 2020 si terrà l’asta su eBay Italia, garanzia di serietà
oltre che piattaforma estremamente popolare per iniziative di questo
tipo. I partecipanti doneranno una loro opera (fisica, non
digitale) raffigurante un personaggio di Federico o una tavola di
un lavoro scritto da lui, al limite una loro opera che possa avere interesse collezionistico. A chi interessa acquistare un lotto, basterà andare su eBay Italia (segnaleremo le date appena saranno confermate). Se volete aderire donando una vostra opera, c’è il gruppo Facebook “Gli amici di Federico” dove poter fare tutte le domande del
caso e, se volete, ricevere le istruzioni per partecipare.
Qui sotto una bella intervista di Federico del 2015 sul suo personaggio più noto Jonathan Steele (nato giusto 20 anni fa) e in generale sulla sua professione tanto amata da tutti noi: ciao, Freddy!
Il pulp style nacque negli anni Venti negli USA con le storie pubblicate a puntate sulle riviste pulp, dalle sfolgoranti copertine ma con le pagine interne stampate su carta non rifilata di polpa di legno, quindi d’infima qualità: importava il contenuto, non la carta.
Negli anni Novanta il genere nel cinema (grazie a Pulp Fiction di Quentin Tarantino) e nella letteratura diventa quello che tutti conosciamo (“e pure troppo” per citare Thomas Prostata di Mai dire gol) e identifichiamo con l'efferatezza e le scene prive di ogni tipo di censura delle pellicole tarantiniane. Ma in Italia, in una cittadina in provincia di Bari che si chiama Molfetta, la parola “pulp” non può che significare un'unica cosa: ù pùlp! Il polpo, emblema della territorialità barese, è stato scelto per rappresentare il Festival di arte, illustrazione e fumetto del luogo.
Il PULP Fest è organizzato da T.ES.L.A. – Tempi e Spazi Liberamente Attivi, associazione culturale nata sul territorio nel dicembre 2013 da ragazzi fra i 17 e i 25 anni, legati da obiettivi comuni: il bisogno di spazio (mentale, materiale, condiviso) e il desiderio di riprendersi il proprio tempo, per rompere il muro di silenzio alzatosi in città con le armi della cultura e della condivisione.
La prima, scorsa edizione del PULP Fest ha concluso il 2018 con un evento di portata straordinaria: una giornata che ha visto protagonisti ben 22 artisti pugliesi tra disegnatori, grafici, illustratori, fumettisti, tatuatori e due grandi nomi della scena artistica italiana contemporanea: AkaB alias Gabriele Di Benedetto (scomparso lo scorso 14 agosto) e Gabriele Villani in arte Coma Empirico.
Dopo il riuscitissimo esperimento dello scorso anno, il PULP Fest – nuovamente curato da Serena Brattoli, alias gommapane – torna domenica 29 dicembre 2019 negli spazi della Cittadella degli Artisti in via Bisceglie km 775 dalle ore 18 (ingresso con contributo di 6 euro), con un’ampia area market, sessioni di live drawing e proiezioni di cortometraggi d'animazione e video clip musicali illustrati all’interno del teatro. Quest’anno sarà anche un’occasione di sensibilizzazione alla tutela dell’ambiente e alla salvaguardia del nostro pianeta e in particolare alla casa del pùlp: il mare. Da qui nasce l'esplicativa e meravigliosa illustrazione che Pablo Cammello ha realizzato per la locandina del Festival.
Oltre ai 20 artisti pugliesi, tra disegnatori, illustratori, grafici e fumettisti che esporranno, ospiti di punta i fumettisti Pablo Cammello, Tommaso “Spugna” Di Spigna e Fabio Magnasciutti, protagonisti di un talk curato da Angela Pansini Valentini, firma per Lo Spazio Bianco e Fumo di China. Ci sarà anche spazio per la musica, con l’esibizione live della band K-ANT Combolution e il Dj set di Hekhizo “Dj Puppet” al secolo Rino De Sario.
Sta arrivando in tutta Italia nelle migliori edicole e fumetterie il nuovo FdC n.293, con splendida copertina di Giuseppe Camuncoli sulle avventure a fumetti in oltre quarant’anni della saga di Star Wars.
A seguire un editoriale con alcune riflessioni sulla situazione sempre più contradditoria delle pubblicazioni a fumetti nel canale più in affanno, le usuali news dal mondo (quelle meno viste e più importanti in Italia, Francia, Stati Uniti e Giappone, più la preziosissima rubrica sulle “Tavole in mostra” di fumetti in Italia e non soltanto), seguito dal dossier mensile che si focalizza sulle tante avventure a fumetti dentro e intorno a una Galassia lontana, lontana...
Poi spazio a “Les aventures de Hergé” (una tavola a fumetti inedita, firmata dal critico e regista Giuseppe Pollicelli per i 90 anni di Tintin), un’intervista esclusiva a Michele Benevento sulla più recente avventura “metropolitana” di Tex a San Francisco... più un affettuoso ricordo a 40 anni dalla scomparsa del grande Piero Mancini raccontato “dal di dentro” dall’amico Gianni Brunoro.
E ancora, un breve resoconto della sfortunata visita di Leiji Matsumoto per i 40 anni italiani di Capitan Harlock, un approfondimento sui 45 anni di Kriminal (alle radici dei fumetti “neri” italiani (dai “favolosi” anni Sessanta alle ristampe più recenti... e una prossima in preparazione) e la fiaba post-moderna Monstress (dagli affascinanti riferimenti letterari e visivi ai continui riconoscimenti moderni), per chiudere con l’incontro esclusivo su bilanci e programmi con Asuka Ozumi (direttore della collana Showcase per Dynit Manga) e un reportage unico dell’esperto Federico Fiecconi sull’animazione dal 30° Cartoon Forum di Tolosa.
Infine, le nostre abituali 7 pagine di recensioni per orientarsi nel mare magnum del fumetto proposto nelle edicole, fumetterie e librerie italiane, insieme alle rubriche “Il Podio” (i top 3 del mese), “Pollice Verso” (un exploit in negativo), “Il Suggerimento” (per non perdere uscite sfiziose) del poliedrico Fabio Licari, oltre a “Niente Da Dire” (la nuova rubrica curata dall’omonimo portale di divulgazione lanciato da Daniele Daccò detto il Rinoceronte con le sodali Furibionda e Onigiri Calibro 38), approfondimenti (questa volta sul
primo film animato di Netflix: il natalizio Klaus,
il volume Stregati dalla Luna con tanti
esempi a fumetti e Il grande Mazinga
in home video), “Strumenti” (sulla sempre numerosa saggistica dedicata a fumetto e illustrazione: in particolare il bel catalogo Etna Comics 2019)... e le strisce fra satira e ironia di Renzo & Lucia con testi & disegni di Marcello!
Tutto questo e altro ancora su FdC n.293 (distribuito in edicola e fumetteria da Me.Pe. e acquistabile via PayPal direttamente dal nostro sito), a soli 4 euro nel tradizionale formato 24 x 33,5 cm (fin dal nostro sbarco in edicola, esattamente 30 anni fa) con 32 pagine tutte a colori: buona lettura!
Per i fan italiani degli anime si prepara un 2020 ricchissimo di appuntamenti. La nuova stagione degli Anime al Cinema distribuita da Nexo Digital in collaborazione con Dynit (iniziato ormai da anni, fin nel 2013 con la riedizione di Akira) proporrà infatti altri 5 entusiasmanti eventi cinematografici in tutte le sale italiane.
Si parte 3- 5 febbraio con Promare, un film dal ritmo incalzante prodotto da Studio Trigger e diretto da Hiroyuki Imaishi che ridefinisce il cinema d’animazione robotico giapponese /trovate qui sopra la locandina). Poi tocca dal 19 al 25 marzo a My Hero Academia The Movie 2 - Heroes: Rising, dopo il successo del primo film che ha incassato più di 21 milioni di dollari in tutto il mondo. La stagione prosegue il 20-22 aprile con Ride Your Wave, commovente storia d’amore del visionario astro nascente Masaaki Yuasa su una studentessa universitaria salvata da un vigile del fuoco di cui s’innamora... L’arrivo dell’estate porterà Seven Days Wardi Yuta Murano, dal romanzo di Osamu S?da nel 1985 opera di culto per i teenager giapponesi con un’intera classe di scuola media che scompare nel nulla in una torrida giornata d’estate. La stagione si chiuderà con Fate/Stay Night Heaven’s Feel III. Spring Song, capitolo conclusivo della terza e più cupa storia della saga.
La stagione degli Anime al Cinema è un progetto esclusivo di Nexo Digital distribuito in collaborazione con Dynit e con il sostegno dei media partner Radio DeeJay, MYmovies.it, Lucca Comics & Games e VVVVID... e per gli appassionati è sempre una festa! Qui sotto il trailer del prossimo film in arrivo, Promare:
Inaugurata oggi per BilBOlbul, il 13° Festival Internazionale di Fumetto bolognese, una grande mostra curata da Daniele Brolli, dedicata al grande fumettista argentino Alberto Breccia, di cui quest’anno si celebrano i cent’anni dalla nascita. L’esposizione, allestita nella sede della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, è aperta fino a martedì 7 gennaio 2020 (con catalogo per Comma 22).
La più ricca e articolata esposizione mai dedicata a Breccia conta circa 150 pezzi, molti dei quali mai esposti in precedenza, che ripercorreranno, nelle sale della Fondazione del Monte, la sua carriera dall’esordio fino alle ultime opere. Ma non è solo un percorso storico attraverso le diverse fasi della sua produzione, nel loro rapporto con le travagliate vicende della società argentina: c’è anche spazio per approfondimenti sulle tecniche utilizzate: dalla china più nitida passando per il collage, fino ai suoi estremi semi-espressionisti. L'allestimento offre quindi al visitatore una duplice chiave d’accesso ai contenuti della mostra: attraverso lo sguardo della storia e attraverso la lettura artistica.
Un percorso che mostra materiali inediti e rari come le illustrazioni per Il nome della rosa di Umberto Eco o i racconti di Jorge Luis Borges. Tra i lavori in esposizione i graphic novel scritti da Héctor G. Oesterheld, Sherlock Time, Mort Cinder e una nuova versione de L’Eternauta, con i riadattamenti dei racconti di Howard Phillips Lovecraft e di Edgar Allan Poe.
Alberto Breccia (1919-1993) è stato un vero “Signore delle Immagini”, a cui dedicammo il commosso saluto “Adios, Viejo!” su FdC n.23 di 25 anni fa: ha fatto del racconto per immagini non semplicemente un lavoro, ma una vera e propria vocazione, mescolando l’irrequietezza del proprio vivere a una continua ricerca stilistica. Assieme a personalità come Hugo Pratt e H.G. Oesterheld nella Buenos Aires degli anni Cinquanta ha saputo creare un ponte tra il fumetto popolare – dal genere western al fumetto di guerra britannico, ai periodici per la gioventù – e quello d’autore. Un artista visionario e profondo, politicamente impegnato anche a rischio della propria esistenza, che, attraverso la china e la pittura, il collage e il fotoritocco, ha gettato uno sguardo negli abissi dell’animo umano, sia in quelli psicologici, sia in quelli più estremi e collettivi delle atrocità dittatoriali. Breccia ha raccontato visivamente un’epoca oscura combinando assieme tocchi duri e poetici, usando metodo nella follia e viceversa, restituendo al lettore rappresentazioni in grado di intrattenerlo sempre con grande rispetto per la sua intelligenza.
Qui un bel documentario-intervista all’autore argentino:
Dopo il debutto di un anno fa a Lucca, è partita mercoledì 20 la nuova avventura di Kobane Calling On Stage con un tour nazionale che toccherà 12 città. Lo spettacolo, la seconda produzione del progetto Graphic Novel Theater di Lucca Comics & Games nato dall’idea di Emanuele Vietina (direttore del festival) di aggiungere alla grammatica festivaliera il linguaggio drammaturgico, curato da Cristina Poccardi (attrice, doppiatrice, produttrice) con adattamenti e regie di Nicola Zavagli (regista e drammaturgo), registra già il tutto esaurito nella tappa di Firenze al Teatro Puccini.
Nell’offerta culturale molto articolata di Lucca negli ultimi si è inserito anche il teatro (con Voci di Mezzo e l’ultimissimo Io sono Cinzia - L’amore non si misura in centimetri). Da sempre la collisione di linguaggi e di diverse forme espressive è il motore propulsore dentro le mura di Lucca: dar corpo teatrale ai grandi romanzi a fumetti (dove ogni vignetta è un piccolo palco) è solo l’ultimo esempio. Senza mai tradire lo stile unico e ironico di Zerocalcare, che ha sposato il progetto con grande interesse, Kobane Calling On Stage è l’omaggio al lavoro di un autore che con quest’opera ha saputo raccontare, attraverso i suoi viaggi in Turchia, Siria, Kurdistan, una delle più importanti battaglie per la libertà dei nostri tempi.
Prodotto da Lucca Crea e da Teatri D’Imbarco, in collaborazione con Bao Publishing, il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e il sostegno di MiBAC e Regione Toscana, lo spettacolo non è solo la trasposizione di uno dei più importanti graphic novel del nostro tempo, ma un’opera nuova, che partendo dalle pagine del fumetto le trasforma sul palcoscenico in un autentico cortocircuito di emozioni. Abbattere le barriere tra il mondo dell’arte e il grande pubblico è la filosofia che sta alla base del festival lucchese e della compagnia Teatri d’Imbarco che da sempre ha costruito la propria identità attorno all’idea di un teatro popolare d’arte civile. Per questo è stato organizzata la tournée, che toccherà queste date e città:
Teatro degli Industri di Grosseto, 20 novembre 2019 Teatro Pacini di Fucecchio (FI), 21 novembre 2019 Teatro Puccini di Firenze, 22-23 novembre 2019 Teatro de’ Rozzi di Siena, 29 novembre 2019 Teatro Comunale di Rosignano Solvay (LI), 30 novembre 2019 Teatro Niccolini di San Casciano Val di Pesa (FI), 1 dicembre 2019 Politeama Rossetti di Trieste, 3 dicembre 2019 Teatro Vittoria di Roma, 5-15 dicembre 2019 Arena del Sole - ERT di Bologna, 18 dicembre 2019 Teatro della Tosse di Genova, 27-29 febbraio 2020 Teatro Bellini di Napoli, 3-8 marzo 2020 MTM Teatro Leonardo di Milano, 26-29 marzo 2020
Insieme al direttore del festival Vietina e al regista Zavagli, Zerocalcare incontrerà il pubblico al termine della rappresentazione nei teatri di Firenze (venerdì 22 novembre), Roma (giovedì 5 dicembre), Napoli (martedì 3 marzo 2020) e Milano (giovedì 26 marzo).
Sta arrivando in tutta Italia nelle migliori edicole e fumetterie il nuovo FdC n.292, con splendida copertina di George Herriman per il come sempre memorabile volume integrale Taschen delle tavole domenicali a colori del suo Krazy Kat!
A seguire un editoriale con alcune riflessioni a latere del nostro abituale reportage su Lucca Comics & Games tra luci e ombre, le usuali news dal mondo (quelle meno viste e più importanti in Italia, Francia, Stati Uniti e Giappone, più la preziosissima rubrica sulle “Tavole in mostra” di fumetti in Italia e non soltanto), seguito dal dossier mensile che si focalizza sulle più recenti versioni passate dal cinema al fumetto di alieni, cyborg e robopoliziotti: la nuova vita cartacea dei maggiori film di fantascienza anni Ottanta nella Nona Arte come Aliens, Predator, RoboCop e Terminator.
Poi spazio al soprannaturale di Samuel Stern (con il parere ragionato di padre Stefano Gorla che ha letto in anteprima il debutto della nuova serie horror-demoniaca italiana), un’intervista esclusiva ad Alexander Braun sul suo nuovo volume XXL di appassionante cura filologica (dopo Little Nemo, è la volta di Krazy Kat, a cui ben volentieri abbiam dedicato la nostra cover), l’incontro con Rachele Aragno sulla sua controparte cartacea Melvina e il “dietro le quinte” del volume Bao Publishing, 90 anni con il fumetto di Ivo Pavone (una carriera inimitabile tra Italia e Argentina) e il reportage dedicato di FdC sulla fiera di Lucca e le mostre, con le novità e le curiosità più significative... più un inserto speciale sull’affaire Evangelion: il nuovo adattamento e la retromarcia di Netflix, specchio del trattamento professionale dell’animazione giapponese in Italia (in una lunga disamina di Marco Pellitteri nell’inserto centrale della rivista).
Infine, le nostre abituali 7 pagine di recensioni per orientarsi nel mare magnum del fumetto proposto nelle edicole, fumetterie e librerie italiane, insieme alle rubriche “Il Podio” (i top 3 del mese), “Pollice Verso” (un exploit in negativo), “Il Suggerimento” (per non perdere uscite sfiziose) del poliedrico Fabio Licari, oltre a “Niente Da Dire” (la nuova rubrica curata dall’omonimo portale di divulgazione lanciato da Daniele Daccò detto il Rinoceronte con le sodali Furibionda e Onigiri Calibro 38), approfondimenti (questa volta sul primo dei due volumi Segni nel Tempo curati da Angelo Nencetti con tutte le illustrazioni di Sergio Toppi, Strangers in Paradise 25 anni dopo di Terry Moore e il film animato I bambini che inseguono le stelle di Makoto Shinkai), “Strumenti” (sulla sempre più numerosa saggistica dedicata a fumetto e illustrazione: in particolare la mostra Carosello. Pubblicità e televisione 1957-1977)... e le strisce fra satira e ironia di Renzo & Lucia con testi & disegni di Marcello!
Tutto questo e altro ancora su FdC n.292 (distribuito in edicola e fumetteria da Me.Pe. e acquistabile via PayPal direttamente dal nostro sito), a soli 4 euro nel tradizionale formato 24 x 33,5 cm (fin dal nostro sbarco in edicola, esattamente 30 anni fa) con 32 pagine tutte a colori: buona lettura!
Due erano le grandi passioni di Vittorio Mietta (1987-2013): la poesia e il fumetto. Dalla combinazione di queste passioni, il 31 ottobre 2019 ha preso avvio la prima edizione del concorso per fumettisti o aspiranti fumettisti “Il Vitto” a lui intitolato.
A partire da una poesia selezionata di Vittorio, i partecipanti potranno realizzare una breve storia autoconclusiva. Non ci sono vincoli stilistici o tematici (la poesia varrà solo come ispirazione), se non la lunghezza massima di 8 tavole.
La partecipazione al concorso è gratuita e aperta ai ragazzi dai 18 ai 32 anni. I vincitori avranno la possibilità di accedere a un workshop di un giorno tenuto dal fumettista Sergio Gerasi. L’autore dell'opera valutata migliore riceverà un premio in denaro pari a 500 euro. Le opere selezionate dalla giuria come meritevoli di pubblicazione, verranno esposte all'interno di una mostra nella città di Pavia.
I lavori dovranno pervenire entro e non oltre il 10 gennaio 2020. In bocca al lupo a tutti i partecipanti!
Scabroso, criticato, chiacchierato, il primo libro di Fumettibrutti, Romanzo esplicito, pubblicato nel 2018 da Feltrinelli Comics, è stato apprezzato con consenso unanime da pubblico e critica. Dopo un anno l’editore punta ancora sul suo cavallo vincente, affidandole la realizzazione di un fumetto dal contenuto potente e nuovo per il mercato italiano, un racconto autobiografico molto atteso, sia dai moltissimi estimatori di Josephine Yole Signorelli (nata nel 1991) che da una parte di critica ansiosa di assistere all’evoluzione stilistica e contenutistica della giovane autrice catanese. P. La mia adolescenza trans(brossurato, 208 pp in bicromia, Feltrinelli Comics, € 18,00) è, già dal titolo, una bomba che detona tra le mani del lettore, un coming out inaspettato, a cui la fumettista affida il racconto più intimo e nascosto della propria esperienza di vita. Il tenore non è molto dissimile da quello di Romanzo esplicito: la storia è quella dalle tinte punk di un’adolescenza problematica e al limite dell’eccesso, caratterizzata da esperienze forti e autolesionistiche. Un’esistenza giovane e fragile in cui la consapevolezza di una inadeguatezza spirituale e fisica e un dolore interiore lacerante sono in contrasto con una fame di vita e di sperimentazione che suona più come un grido di aiuto che come un desiderio di ribellione e di evasione dalla famiglia e dall’asfittica vita di provincia.
Emblematica del dolore racchiuso tra le pagine del racconto è la tavola a pagina 83 del volume, in cui P. concede un cunnilingus a un’amica ammettendo a se stesso «In realtà non mi va, ma dico sempre di sì. Se dico di no sento di non valere nulla. Faccio star meglio gli altri, sono solo questo, un giocattolo. Chi mai amerebbe un giocattolo guasto?». E la metafora del giocattolo e dell’amore negato, anche del protagonista verso se stesso ritorna più volte nel fumetto, in modo quasi ossessivo e paranoico, denotando l’insano bisogno di P. e quindi dell’autrice di punirsi per la propria inidoneità. In questo risiede la forza e il realismo de La mia adolescenza trans.
Il tratto è quello spurio, incerto, approssimativo a cui Fumettibrutti ha abituato i suoi lettori sin dai tempi in cui pubblicava le proprie vignette sui social. Ma in questo caso quell’approssimazione si fa eccessiva, al limite della trascuratezza, tradendo forse un’urgenza narrativa che va oltre la ricerca formale e stilistica, quasi che l’idea e il desiderio di raccontare la propria storia corressero più veloci della matita dell’autrice.
Pur essendo un prodotto che va inquadrato in un’esperienza di ricerca da parte di una fumettista ancora evidentemente acerba, se pur già premiata e apprezzata, e in una nuova direzione che il fumetto italiano “giovane” sta prendendo, P. La mia adolescenza trans appare tuttavia una promessa non mantenuta se lo si pensa come un prodotto editoriale attraverso cui dare finalmente il giusto spazio alla questione della disforia di genere. Tanto, troppo vicino al libro precedente, questa seconda produzione di Signorelli dà molto spazio al racconto del disagio del protagonista e alter ego dell’autrice, ma scivola verso un finale frettoloso e a tratti incongruente (soprattutto nel caso del plot-twist che riguarda il rapporto madre-figlio), in cui al tema portante è dato poco spazio e con un ritmo eccessivamente rapido. Probabilmente un numero inferiore di tavole dedicato alla prima parte a favore della seconda avrebbe reso il tutto più omogeneo ed equilibrato.
P. La mia adolescenza trans resta comunque un fumetto coraggioso, in quanto coming-out pubblico per la sua autrice e per la tematica affrontata, ma è specchio di una capacità autoriale che non ha ancora offerto i suoi pieni frutti.
Il rapporto tra Scarp de’ tenis e i fumetti è lungo e proficuo: c’è una copertina dedicata a Martin Mystère e numerose con protagonista Dylan Dog. L’Indagatore dell’Incubo ha avuto anche una breve storia inedita realizzata proprio per Scarp de’ tenis da Barzi e Sergio Gerasi. 5 anni fa la più celebre rivista di strada italiana chiese a Barzi di pensare a una striscia mensile con un protagonista simpatico ma che fosse inserito nella struttura del giornale. Così è nato Paputsi, storpiatura di “Papoùtsi” (“scarpa” in greco), la scarpa da tennis, loser chapliniano, trasandata senza risultare sporca, vissuta senza apparire vecchia, carismatica ma non arrogante: personaggio inadeguato rispetto al mondo e alla società che lo circonda, ma che ci prova sempre, con tenacia e, in qualche modo, poesia. Il volumetto (di cui ha parlato anche la Repubblicaqui) sarà presentato a Lucca con gli autori a 9,90 euro (e Scarp de’ tenis in omaggio) ma può essere già richiesto alla redazione di Scarp chiamando il tel. 02.67479017, scrivendo una e-mail e anche in formato digitale sulla edicola on line di Scarp.
«Era da tempo – racconta Barzi – che non scrivevo strisce, e mi mancava. Ma, purtroppo, mancano anche gli spazi. Cartacei, intendo, che sul web di strip se ne trovano quante se ne vogliono. Quando, con il coraggio e la determinazione che lo contraddistingue, Scarp mi ha chiesto una striscia per la rivista ho detto subito di sì». Paputsi è disegnato da Florio e Usai. «E su Scarp de’ tenis – dice Florio – che cosa vuoi raccontare, se non le scarpe?». Protagoniste sono dunque le scarpe, che però si comportano in tutto e per tutto come esseri umani, pur non perdendo la loro fisicità di scarpe. Le scarpe/personaggi sono diversi tra loro e il modello della scarpa influenza in qualche modo il carattere e il modo di fare della scarpa stessa. I manager sono scarpe di pelle eleganti e costose, la donna amata dal nostro protagonista una ballerina, quindi il corrispettivo calzaturiero della bella ma sommessa fioraia di Le luci della città di Chaplin. Paputsi oggi compie 5 anni. Ecco allora la prima raccolta delle prime 50 strisce apparse su Scarp de’ tenis (più un paio di inedite)».
È uno dei film di animazione più in gamba tra tutti i film di animazione in gamba mai realizzati. Ha da poco compiuto vent’anni, la maggiore età per i futuri “classici” dell’animazione, e negli Stati Uniti circola ancora in versione rimasterizzata con il titolo The Iron Giant: Signature Edition. Arrivato in Italia nel 1999 come Il gigante di ferro, il film è la prima regia cinematografica di Brad Bird, noto per le prodezze televisive in serie quali I Simpson, The Critic e King of the Hill. La prima formidabile regia che gli arriva in un periodo della carriera in cui, in effetti, stava pensando davvero al grande schermo e aveva in sviluppo una pellicola per la Turner, nella seconda metà degli anni ‘90 ancora affiliata a Warner Bros. Un film che uscì quando ormai l’animazione tradizionale negli States era in procinto di dileguarsi per cedere sempre più il passo alla CGI.
Il soggetto arriva dal libro per bambini dell’inglese Ted Hughes (1930-98) pubblicato nel 1968 e scritto per superare lo sconforto, suo e dei suoi figli, seguito alla morte della moglie, la poetessa americana Sylvia Plath (1932-63). È la storia di un’amicizia singolare tra un ragazzino di nome Hogarth e un gigantesco robot negli anni della Guerra Fredda, dello Sputnik spedito in orbita e in un clima di paura e sospetto. Quando Bird varca la soglia degli uffici Warner per parlare del progetto, e dopo aver visionato il materiale sviluppato dallo studio alla fine del 1996, porta con sé una particolare idea del film. Nell’immediato intende portare rispetto al romanzo di Hughes e all’immortale tema del ciclo vita/morte ivi narrato, nella pratica vorrebbe invece rispondere a un quesito filosofico: se un’arma avesse un’anima e decidesse di non essere un’arma? Il suo principale alleato in quel frangente è lo sceneggiatore del film Tim McCanlies. Successivamente Ted Hughes, una volta ricevuto il copione, gli scrive una commossa lettera d’elogio che cela la sua voglia irresistibile di vedere il film (un appuntamento che purtroppo mancherà).
È Brad in persona a collocare l’ambientazione del film nel 1957, un periodo per lui familiare e che restituisce al suo film un volto e un’ambientazione più vera. Questo e altri cambiamenti favoriscono l’introduzione di personaggi come il beatnik Dean e l’agente del Governo Kent Mansley. Senza contare quanto il clima paranoico dell’epoca riesca a mutarsi in strumento spettacolare davvero perfetto. Nel 1999 Bird spiegò: ciò che ci spaventava in quegli anni, nella vita vera, veniva poi raccontato dal cinema. Un’assimilazione che Il gigante di ferro porta sullo schermo con miracolosa efficienza soprattutto tenendo conto dei tempi stringati di sviluppo tra pitch, revisioni della sceneggiatura e approvazione dei vertici Warner. Per essere uno degli ultimi film animati tradizionalmente (oltre 125 animatori che a mano si sono occupati dei personaggi, degli sfondi e di animazioni dinamiche già fin dai primi stadi della lavorazione), Il gigante di ferro si è concesso un unico peccato di gola digitale: la creazione del robot in CGI. Bird la raccontò così: “Il gigante proviene da un altro mondo, quindi abbiamo deciso di crearlo usando la computer animation, così da dargli massa, solidità e l’impressione di giungere da un posto differente”. Per fare tutto ciò si è servito di un software per ottenere il quale ha dovuto pazientare alcuni mesi. Ma i risultati sono sorprendenti. Come se avessero fatto tutto a mano.
Tra riferimenti cinematografici colti (i classici sci-fi come Ultimatum alla Terra) e superlativi omaggi ad artisti quali Norman Rockwell, Edward Hopper e N.C. Wyeth, Il gigante di ferro nella sua versione originale sorprende grazie agli attori che hanno prestato la voce ai personaggi e che per Bird non dovevano essere necessariamente delle star. Attori in grado di capire il personaggio e al tempo stesso regalargli un’anima. Tra Jennifer Aniston nei panni della madre del protagonista e Harry Connick Jr. in quelli di Dean, soltanto Hogarth ha goduto di una corsia vocale personale. Bird desiderava una voce dalla grana genuina. Una voce fresca, innocente come il suo personaggio ma anche un po’ scaltra. Il 12enne Eli Marienthal, dal discreto curriculum televisivo, fu preso grazie a queste caratteristiche. Da ricordare infine il grande Vin Diesel nella parte... non-del-tutto-parlante del gigante! Qui sotto il trailer italiano... e ancora una volta, buona visione (magari alla ViewFest 2019 di Torino, domani venerdì 18).
Sta arrivando in tutta Italia nelle migliori edicole e fumetterie il nuovo FdC n.291, con coloratissima copertina inedita di Umberto Sacchelli per i colori di Mirko Babboni, per celebrare un Joker mai così trionfante dopo il film tutto su di lui (o quasi, visto che potrebbe anche essere un suo sosia-imitatore), premiato con il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia!
A seguire un editoriale che dà qualche semplice indicazione per provare a interpretarne il successo, le usuali news dal mondo (quelle meno viste e più importanti in Italia, Francia, Stati Uniti e Giappone, più la preziosissima rubrica sulle “Tavole in mostra” di fumetti in Italia e non soltanto), con il dossier mensile si focalizza sulla carriera fumettistica (ma anche brevemente su quella cinetelevisiva) del Principe Pagliaccio del Crimine antagonista di Batman fin quasi dall’inizio di 80 anni fa, curato dall’esperto Filippo Conte con un’intervista a Carmine Di Giandomenico e all’editor italiana Elena Pizzi in RW Edizioni.
Poi spazio a una chiacchierata con Marcello per festeggiare i suoi 50 anni di carriera dopo il premio a Riminicomix, un’intervista a tutto campo a Dave McKean (sul fumetto, i film, l’arte e le sue mille declinazioni) alla mostra “Oltre il portale dell’immaginazione” al BGeek di Bari, la saga della She-Hulk di John Byrne (appena riedita in un atteso Omnibus da Panini Comics) e il suo sfondare la “quarta parete” dialogando e litigando... con lui e i lettori, oltre a un’analisi del critico Giuseppe Pollicelli di due fumetti sull’immigrazione a fumetti di visioni culturali opposte usciti in contemporanea (...A casa nostra - Cronaca da Riace per Feltrinelli e Adam per Ferrogallico).
Infine, le nostre abituali 7 pagine di recensioni per orientarsi nel mare magnum del fumetto proposto nelle edicole, fumetterie e librerie italiane, insieme alle rubriche “Il Podio” (i top 3 del mese), “Pollice Verso” (un exploit in negativo), “Il Suggerimento” (per non perdere uscite sfiziose) del poliedrico Fabio Licari, oltre a “Niente Da Dire” (la nuova rubrica curata dall’omonimo portale di divulgazione lanciato da Daniele Daccò, Furibionda e Onigiri Calibro 38), approfondimenti (questa volta sulle tante nuove incarnazioni dei Bonelli Kids e il film animato La famosa invasione degli Orsi in Sicilia di Lorenzo Mattotti tratto da Dino Buzzati, di cui il regista ci aveva parlato in esclusiva su FdC n.239), “Il senso delle nuvole” (con le puntute osservazioni di Giuseppe Peruzzo) e “Strumenti” (sulla sempre più numerosa saggistica dedicata a fumetto e illustrazione: in particolare Il fumetto come arte e Flash Gordon)!
Tutto questo e altro ancora su FdC n.291 (distribuito in edicola e fumetteria da Me.Pe. e acquistabile via PayPal direttamente dal nostro sito), a soli 4 euro nel tradizionale formato 24 x 33,5 cm (fin dal nostro sbarco in edicola, giusto 30 anni fa) con 32 pagine tutte a colori: buona lettura!
Si chiude a Camogli nel prossimo fine settimana la prima rassegna di mostre e incontri “Il Porto delle Storie”, manifestazione dedicata ai maestri del disegno narrativo e alle loro opere. Dopo Silver e Ro Marcenaro, protagonisti dello scorso weekend, tra venerdì 11 e sabato 12 ottobre il pubblico potrà incontrare da vicino altri due artisti d’eccezione: Vittorio Giardino e Milvio Cereseto. La “città dei mille bianchi velieri” ospiterà dunque altri due maestri dell’immaginazione disegnata, grazie all’evento promosso dal Comune di Camogli che vuol portare nello storico borgo marinaro artisti capaci di viaggiare a vele spiegate sulle infinite mappe della fantasia tra umorismo, avventura, impegno civile, sogni disegnati per tutti i partecipanti.
Venerdì 11 alle ore 17 inaugurerà presso il Civico Museo Marinaro “Gio Bono Ferrari” la mostra “La saga delle balene” di Milvio Cereseto e alle ore 18 all’interno di Castel Dragone si apre la mostra “Vacanza in Liguria” di Vittorio Giardino. Le due mostre si presentano di grande suggestione, documentando l’estro sorprendente di entrambi gli artisti che, ciascuno a proprio modo, sanno interpretare in forme via via contemplative, poetiche, avventurose, e pure misteriose, le instancabili bellezze e i seducenti segreti del mare. Il pubblico potrà visitare le esposizioni personali, incontrarne gli autori e approfittare dell’occasione per farsi anche autenticare e dedicare un loro disegno.
Sabato 12 ottobre alle ore 11 nella Sala Consiliare del Palazzo Comunale si svolgerà un incontro pubblico con i due autori, Cereseto e Giardino. In parallelo, fino a domenica 13 resteranno ancora aperte (anch’esse con orario 9-12 e 15-18) le mostre già inaugurate la settimana scorsa, tutte a ingresso gratuito: “La Costituzione italiana” di Ro Marcenaro nella Sala Consiliare del Palazzo Comunale e “Lupo Alberto dappertutto” di Silver nelle vetrine dei negozi lungo le centrali via XX Settembre e via della Repubblica.
Il catalogo della manifestazione sarà distribuito ai visitatori gratuitamente, fino ad esaurimento. Nata per volere del sindaco Francesco Olivari, la manifestazione è curata dal critico e storico dell’immagine Ferruccio Giromini e si avvale della collaborazione dell’Ufficio Cultura e dell’Ufficio Tecnico del Comune di Camogli, del direttore del Civico Museo Marinaro “Gio Bono Ferrari” Bruno Sacella e della presidente dell’ASCOT Camogli Luciana Sirolla. Per informazioni:
Pro Loco Camogli, tel. 0185.771066 e questa e-mail.
Se n’è andata lo scorso 3 agosto, ma la notizia è trapelata solo ora, una delle animatrici più apprezzate dell’animazione giapponese. Kazuko Nakamura aveva 86 anni e ne ha trascorsi poco meno di 30 lavorando come animatrice per compagnie celebri come Toei Doga o al servizio del geniale Osamu Tezuka. Un tempo non molto lungo in cui ha però lasciato un segno indelebile.
Aveva un bel carisma e una devozione per l’arte che non s’era scrollata di dosso neppure quando s’era trovata marito (un pubblicitario di nome Kaoru Anami) ed era andata a fare la casalinga e la moglie. Ma poi alla fine tornava sempre lì, nel grande fiume impetuoso dell’animazione per aiutare il maestro Tezuka o collaborare con vecchi colleghi Toei Doga. Nakamura era nata in Manciuria nel 1933 e trasferitasi con la famiglia nella prefettura di Yamaguchi subito dopo la guerra, aveva immediatamente dato corso alla sua passione studiando in un istituto d’arte. Per una giovane donna di quel tempo arte e pittura erano un pessimo binomio che non garantiva occupazione sicura, ma lei non si lasciò scoraggiare. Un giorno del 1952 assiste al film La pastorella e lo spazzacamino del francese Paul Grimault e, come Isao Takahata, se innamora all’istante.
Con due soli responsabili a occuparsi delle animazioni, si impone la necessità di impiegare animatori “in seconda” per ripulire le animazioni chiave e con una certa premura, visto che Toei ha in cantiere La leggenda del serpente bianco (1958). Tra tanti disegnatori maschi, Kazuko riesce a spuntarla: è talmente brava da guadagnarsi alcune pagine su un settimanale dell’epoca, e talmente bella che in portineria la scambiavano per un’attrice.
Soprannominata Wako-san, da artista con temperamento felino non sempre approva il modus operandi Toei nell’impiego di migliaia di disegni e cerca una scusa per andarsene. Soprattutto dopo aver lavorato al melodramma in costume Robin e i due moschettieri e mezzo (1962), che Toei Doga aveva letteralmente imposto allo staff. Tezuka aveva segretamente ammirato il talento di Kazuko ai tempi della sua collaborazione con Toei (il film Le tredici fatiche di Ercolino tratto dal suo fumetto Saiyuki) e, grazie all’intervento dell’inestimabile Yusaku Sakamoto, riesce ad assumerla non come semplice intercalatrice, ma disegnatrice in piena regola: passa con destrezza da Astro Boy (1963) a W3 (1965) dove finalmente ottiene il ruolo di sakkan, direttrice delle animazioni. Un ruolo che era stato affidato all’antica collega Reiko Okuyama in Toei Doga. Sono conquiste smisurate per le due donne, e nel maschilista mondo del lavoro giapponese non passano inosservate.
Nakamura si ritira nel 1964, ma a Tezuka non riesce a dire di no. Neppure quando è sull’orlo del fallimento e lei nel 1971 figura già tra i papabili animatori che dovrebbero seguirlo in un’altra avventura imprenditoriale. In Mushi era stata sakkan in La principessa Zaffiro (1968), firmato come Kazuko Anami, e animatrice dei personaggi femminili negli erotici Le mille e una notte (1969) e Cleopatra (1970), enormi successi al botteghino che tuttavia non risollevano le finanze dello studio. Nakamura realizza la sigla di apertura della serie I bon bon magici di Lilly (1971) con alias e collabora a un film su Mori no densetsu, che naufraga in fretta per essere ripreso nel 1987. Tezuka la vuole per Uccello di fuoco 2772, in cui è accreditata come “animation director”. Una cortesia professionale che Tezuka le restituisce da estimatore convinto: raramente credenziali del genere si ripeteranno nel cinema animato. Con la discrezione che la distingue, il nome di Kazuko riaffiora di tanto in tanto “per dare una mano”, come diceva lei: nel film Jack to mame no ki (1974) di Gisaburo Sugii e nella serie Alice nel Paese delle Meraviglie (1983) dove si riunisce al compagno Yasuji Mori dei tempi Toei.
La sua scomparsa, celebrata in privato dai familiari, giunge in un particolare momento per il mondo dello spettacolo giapponese. Sulla rete di stato NHK, dalla scorsa primavera è in onda Natsuzora, una seguitissima serie del mattino che pare un omaggio ai gloriosi giorni dell’infanzia dell’animazione nipponica con personaggi ispirati agli animatori Toei Doga e in particolare a Reiko Okuyama. Ma sono in molti a giurare che la giovane Mako-san in Natsuzora sia proprio lei: Kazuko Nakamura, l’indomabile appassionata di arte che ha regalato volti e movenze indimenticabili a tante eroine dell’animazione.
Un concerto, un racconto e un firmacopie. “Graphic Novel Is Back - Unplugged” è lo spettacolo tenutosi ieri sera a Milano che Davide Toffolo – da sempre cantante e frontman dei Tre Allegri Ragazzi Morti, oltre che fumettista apprezzato da decenni – ha ideato per far meglio entrare il pubblico nel suo nuovo volume a fumetti Graphic Novel Is Back(Rizzoli Lizard).
La vita dell’anti-star della musica indipendente italiana, che con le sue canzoni e i suoi fumetti ha segnato almeno tre generazioni, viene infatti messa in scena attraverso canzoni, racconti esilaranti e giochi interattivi con il pubblico: lo spettacolo gratuito su prenotazione fino a esaurimento posti al Teatro Litta MTM ha aperto un nuovo tour “a doppia faccia”, come sempre più spesso realizzato dal musicista/fumettista.
“El Tofo” è insomma una rockstar che fa fumetti ma anche un fumettista che è una rockstar. Un’anti-star, per essere precisi, grazie alla maschera da (semi)teschio che l’accompagna da sempre. Nessuno ha mai visto così da vicino il grande cantante e disegnatore. “Graphic Novel Is Back - Unplugged” è un momento intimo per conoscere i segreti del disegno e della musica indipendente e per cantare le canzoni dei Tre Allegri Ragazzi Morti come non le abbiamo mai ascoltate.
Il fumettista modenese è stato uno dei disegnatori umoristici più famosi d’Italia, grazie alle sue Sturmtruppen, a Nick Carter, alle Cronache del Dopobomba... Il suo successo è iniziato nel 1968 proprio a Lucca, dove ha presentato al mondo i suoi buffi soldatini tedeschi: nella cittadina toscana si terrà ora la prima asta al mondo di sue tavole originali: Urania Casa d’Aste batterà ben 62 pezzi che rappresentano il meglio della sua produzione.
Una selezione delle tavole migliori sarà esposta presso la chiesa S. Maria dei Servi durante i cinque giorni di festival. I visitatori potranno ammirare pagine originali delle Storie dello Spazio Profondo e delle Cronache del Dopobomba, disegni di produzione dei “fumetti in T.V.” di Nick Carter ideato apposta per SuperGulp!, strisce delle Sturmtruppen e altri materiali provenienti dall’Archivio Bonvicini e mai esposti prima d’ora. Un’imperdibile carrellata nella produzione di uno dei più grandi geni del fumetto italiano.
L’evento sarà mercoledì 30 ottobre 2019 alle ore 14 presso la Domus Romana in via Battisti 15 a Lucca. Al catalogo monografico dedicato a Bonvi seguiranno come di consueto lotti di grandi autori del fumetto e dell’illustrazione come Hugo Pratt, Bill Sienkiewicz, Milo Manara, John Buscema, Vittorio Giardino, Floyd Gottfredson e Charles Schulz. Il catalogo completo della 12° asta Urania sarà disponibile sul sito ufficiale dal 1° ottobre 2019. Qui sotto, un vecchio filmato in cui Bonvi in persona racconta il suo lavoro... buona visionen!
Netflix ha presentato in Italia l’omnibus dello Studio Ponoc Modest Heroes (Chiisana Eiyu: Kani to Tamago to Tomei Ningen, 2018). Un’antologia di tre corti che fa seguito al loro primo lungometraggio Mary e il fiore della strega (Meary to Majo no Hana, 2017) e posta al centro di un’attività si spera a lungo termine nel cinema di animazione da parte dello studio fondato nel 2015 da Yoshiaki Nishimura. La pellicola, nonostante la sua forma antologica, in Giappone è stata distribuita in cento sale e negli Stati Uniti ha goduto di regolare distribuzione grazie alla società GKids e alla sua ben oleata attività di promozione del cinema d’animazione non di lingua inglese (un catalogo che vanta i film dello Studio Ghibli, Jean-François Laguionie, Alexandre Heboyan, Claude Barras, Kitaro Kosaka, Masaaki Yuasa, Tomm Moore, più molti altri). Modest Heroes porta la firma di nomi noti dell’industria: Hiromasa Yonebayashi (con tre lungometraggi all’attivo di cui due con lo Studio Ghibli), Yoshiyuki Momose (da oltre trent’anni al servizio del Ghibli) e Akihiko Yamashita (rispettato animatore e oggi promettente autore).
Lo Studio Ponoc deve in parte la sua nascita all’annuncio che nel 2013 Hayao Miyazaki fece in merito al suo definitivo ritiro dalla scena animata, salvo poi ripensarci. La chiusura del dipartimento di produzione dello Studio Ghibli nel 2014 aveva lasciato oltre 150 tra disegnatori, animatori e artisti del disegno a vario titolo senza più una dimora sicura. Un piccolo esercito di professionisti con ancora una gran voglia di continuare a fare cinema sulla scia di quanto prodotto con Miyazaki e Takahata. Pur dovendo ricominciare da capo, Yoshimura e Yonebayashi hanno trovato nuova sistemazione, sostegno economico e una credibilità per dare vita ai progetti desiderati. Sulla scia Ghibli va intesa non soltanto con la superba qualità delle immagini e delle animazioni dei celebri film dello studio, ma soprattutto come coerenza artistica all’insegna di storie solide da raccontare e notevole capacità espressiva nel portarle sul grande schermo. Altra lezione che i giovani dello Studio Ponoc hanno appreso, e subito riconvertito in pratica, è la consapevolezza di non dover per forza abbracciare uno stile unico e distintivo ma, come ha insegnato Takahata con gli ultimi due suoi film (I miei vicini Yamada del 1999 e La storia della Principessa Splendente del 2013), uno stile sempre pronto a defilarsi dalla ordinarietà dell’animazione o dalla rassicurante bellezza estetica dei film Ghibli per trovare nuovi ragioni d’essere.
In Ponoc amano raccontare storie per bambini, sanno di dover evitare l’attrito pericoloso della banalità e ripetitività degli anime e sognano un cinema che vada bene sia ai grandi che ai piccini. Per questo è nato il progetto di Modest Heroes. Non un esperimento, ma una tappa evolutiva all’interno del loro personale processo di creazione. Qualcosa che, come ha spiegato il produttore Yoshiaki Nishimura alla stampa americana durante il lancio del film, andava fatto in quel particolare momento della loro esistenza e in quella particolare forma. Il progetto del film, inizialmente intitolato Life, prevedeva la realizzazione di quattro corti diretti dai signori di cui sopra in aggiunta a Takahata, venuto a mancare prima della lavorazione. Modest Heroes tratta della vita, della nascita e della forza che ogni giorno troviamo in questa vita. Talvolta grazie a eroi veri – non quelli dei cinecomics – che ci stanno attorno e di cui non ci accorgiamo. Il quarto corto, racconta ancora Yoshimura, doveva riflettere sul tema della morte, ma quest’ultima è stata più svelta di qualsiasi ispirazione portandosi via Takahata.
I corti di Modest Heroes, nell’ordine Kani no Kanino, Samurai Egg e Invisible, sono a conti fatti tre diverse espressioni del coraggio. Nel primo due fratelli granchio partono alla ricerca del padre trascinato via dalla corrente impetuosa del ruscello in cui vivono. In Samurai Egg un bimbo allergico alle uova combatte ogni santo giorno contro la sua patologia grazie anche a una madre eroica. Nell’ultimo Invisible, un uomo invisibile si ritrova a salvare acrobaticamente un bimbo mentre è a bordo del motorino. I tre registi si son scelti ambientazioni che in parte riflettono il loro personale background: lo scenario un po’ fantasy un po’ realistico di Yonebayashi è quello tecnicamente più impegnativo, soprattutto nell’animazione dell’acqua del ruscello o dei giganteschi pesci che lo abitano. L’ambiente domestico e scolastico in cui si muove il bimbo di Samurai Egg ricorda le atmosfere, l’uso dei colori e il design dei personaggi che Momose aveva proposto all’epoca di Ghiblies, i corti prodotti dallo Studio Ghibli nel 2000. Quanto a Yamashita, questa sua seconda regia stilisticamente differisce dal corto Chuuzumou per il Museo d’Arte Ghibli e propone un campione di quella differenziazione espressiva ed estetica dello Studio Ponoc di cui si diceva. Sicuramente, il suo è il corto più ammirevole dei tre. Nell’insieme, Modest Heroes conferma – almeno nella tecnica – di essere un degno figlioccio dello Studio Ghibli, e ora non resta che attendere il 2020 e il loro contributo animato per celebrare le Olimpiadi di Tokyo.
Da domani alle ore 16 – in presenza della presidente dell’associazione F.N. Carcupino cioè la figlia Stefania, l’editor Giorgio Pinotti per Adelphi (che dal 1993 pubblica i libri di Maigret in Italia) e l’autrice cinetv Susanna Francalanci – al Wow Spazio Fumetto di Milano fino a giovedì 31 ottobre la mostra “Il Commissario Maigret. I racconti di Simenon nell’arte di Carcupino” è una mostra dedicata alle tavole di Fernando “Nusci” Carcupino (1922-2003) realizzate per illustrare i romanzi inediti del Commissario Maigret, pubblicati sul settimanale Grazia di Mondadori nella seconda metà degli anni Sessanta.
La figura di Maigret era in quel momento rappresentata nell’immaginario collettivo da Gino Cervi, grande interprete di una fortunata serie tv in onda sulla RAI nel 1964-65. Carcupino riprende quel Maigret e lo rende protagonista di una straordinaria serie di tavole che rientrano in un felicissimo momento della sua produzione. Le ambientazioni parigine, le immagini dal taglio cinematografico, la scelta del colore, l’uso dei contrasti cromatici, l’indagine psicologica sui personaggi si concretizzano nella definizione degli spazi o nella “fotografia” di particolari momenti o atteggiamenti. La maestria tecnica e una grandissima profondità dello sguardo insieme a un gusto sorprendente per l’impostazione delle scene rendono queste tavole una raccolta preziosa.
Attraverso le “tavole di Maigret” si intende poi promuovere ancora l’opera di Carcupino illustratore, un artista che si è misurato in vari generi e tecniche, dall’illustrazione, al fumetto, alla pittura e ha sempre raggiunto altissimi risultati espressivi e creativi. Nella sua lunga carriera artistica si è dedicato in modo particolare alla pittura: ha creato un linguaggio pittorico riconoscibile in qualunque modalità si esprima, nei nudi, nei paesaggi, nelle nature morte, uno stile che molto deve alla conoscenza della tradizione artistica e figurativa europea, ma molto anche alla frequentazione della musica, in particolare del jazz, nella composizione e nell’improvvisazione sui temi.
Oltre alle illustrazioni del Commissario Maigret, di Carcupino sono molto note le tavole sulla Grande Guerra, pubblicate su Epoca sempre per Mondadori nel 1965, sotto la direzione di Enzo Biagi, alle quali l’associazione dedicata al grande autore nato a Napoli da famiglia milanese ha già dedicato alcune mostre, ma anche le tavole per il Calendario di Frate Indovino, pubblicate per una quindicina d’anni verso la fine della sua carriera.
Tornato puntuale dopo il doppio estivo, è arrivato in tutta Italia nelle migliori edicole e fumetterie il nuovo FdC n.290,
con splendida copertina inedita di John Bolton per celebrare la sua Shame disegnata per la collana USA scritta da Lovern Kindzierski!
A seguire un editoriale “per ripartire con nuovo slancio” con un mini reportage sulla passata
edizione di Cartoon Club e Riminicomix con i premi del festival, le
usuali news dal mondo (quelle meno viste e più importanti in Italia,
Francia, Stati Uniti e Giappone, più la preziosissima rubrica sulle
“Tavole in mostra” di fumetti in Italia e non soltanto) e la storia con i
retroscena editoriali delle due avventure di Tintin sulla Luna, il
dossier mensile si focalizza su un particolare “Dietro le quinte del fumetto“ tra Dylan Dog e superpoteri, zombi e Star Wars con un’intervista a tutto campo con Stefano Landini sul suo lavoro in Italia e Stati Uniti.
Poi spazio all’incontro esclusivo con il grande disegnatore inglese John Bolton che racconta il “dietro le quinte” delle sue produzioni più recenti, un affettuoso ricordo di Massimo Mattioli nella serie di esclusivi ritratti “visti da vicino” curati da Giuseppe Pollicelli, un particolare approfondimento di Dino Battaglia in formato kolossal (finalmente celebrato da una grande mostra a Città di Castello) firmato dall’esperto Gianni Brunoro, quindi una chiacchierata su Chet Baker a fumetti con i suoi biografi a fumetti Marco Di Grazia e Cristiano Soldatich, nonché la nostra prova diretta “sul campo” del gioco da tavolo dedicato a Kick-Ass e dettagli gustosi sul lungometraggio animato di Penguin Highway, distribuito anche nelle sale cinematografiche italiane lo scorso inverno.
Infine, le nostre abituali 7 pagine di recensioni per orientarsi nel
mare magnum del fumetto proposto nelle edicole, fumetterie e librerie
italiane, insieme alle rubriche “Il Podio” (i top 3 del mese), “Pollice
Verso” (un exploit in negativo), “Il Suggerimento” (per non perdere
uscite sfiziose) del poliedrico Fabio Licari, oltre a “Niente Da Dire” (la nuova rubrica curata dall’omonimo portale di divulgazione lanciato da Daniele Daccò, Furibionda e Onigiri Calibro 38), approfondimenti (questa volta su Brush Work di Junichi Hayama più Le Théâtre de A e Le Théâtre de B di Asumiko Nakamura), “Il senso delle nuvole” (con le puntute osservazioni
di Giuseppe Peruzzo), “Strumenti” (sulla sempre più numerosa saggistica
dedicata a fumetto e illustrazione: Mickey 90. L’Arte di un Sogno, Dalla parte dei buoni. La
vita e l’opera di Renzo Calegari e Tex. 70 anni di un mito)... e le strisce fra satira e ironia
di Renzo & Lucia con testi & disegni di Marcello!
Tutto questo e altro ancora su FdC n.290 (distribuito in edicola e fumetteria da Me.Pe. e acquistabile via PayPal direttamente dal nostro sito), a soli 4 euro nel tradizionale formato 24 x 33,5 cm (fin dal nostro sbarco in edicola, giusto 30 anni fa) con 32 pagine tutte a colori: buona lettura!
City Hunter 30 anni dopo: all’appello non manca niente e nessuno. Perfino il martello da 100 tonnellate è riapparso più gagliardo che mai sullo schermo, in City Hunter: Private Eyes, quarto film animato dedicato al re del mokkori Ryo Saeba realizzato per celebrare i 30 anni anni della messa in onda della serie animata avvenuta su Yomiuri Terebi nel 1987 (appena uscito anche nei cinema italiani grazie agli “Anime al Cinema” di Nexo Digital e Dynit). Un evento che ha scongelato i vecchi ricordi dei fan, tanto che già si guarda all’appuntamento dei 35 anni della pubblicazione del manga creato da Tsukasa Hojo e che con ogni probabilità porterà un nuovo anime tv.
City Hunter è stato il coronamento della carriera di Hojo, avviata nel 1980 con il fumetto Ore wa otoko da! (“Sono un uomo!”) e poi esplosa sulle pagine del settimanale Weekly Shonen Jump grazie alle avventure delle sexy ladre di Cat’s Eye. L’avventura a fumetti di Ryo è durata 8 anni, ha venduto oltre 50 milioni di copie per poi raggiungere il vertice grazie all’anime prodotto da Sunrise: 140 episodi, 3 lungometraggi e alcuni special tv. Il nuovo film distribuito in Giappone lo scorso febbraio ha incassato oltre un miliardo di yen (circa 12 milioni di euro) ed è transitato anche nelle sale italiane sulle note di Get Wild, la storica sigla della serie.
Incuriosito come gran parte del fandom dal nuovo film, Hojo ha sempre considerato City Hunter l’estensione giovanile di se stesso come autore di manga. Ammette che oggi faticherebbe a stargli fumettisticamente dietro (e infatti dal 2017 c’è Kyo Kara City Hunter disegnato da un emulo di nome Sokura Nijiki sulle pagine di Comic Zenon). Invece l’animazione non demorde mai, neppure al cospetto di questo formidabile personaggio abilissimo nel proteggere gli indifesi, con il solo perdonabile difetto di non riuscire a trattenere la sua passione per il gentil sesso: di qui quel mokkori quale perfetta espressione visiva del suo irrefrenabile “entusiasmo”. Chiamato in causa nel 2018, mentre la lavorazione procedeva sotto le sapienti mani del veterano Kenji Kodama, Hojo si è detto disponibile a collaborare in qualunque modo con la nuova pellicola. Ma era soprattutto felice di ritrovare lo stesso clima di 30 anni fa, dallo staff di animatori e disegnatori, alle voci dei personaggi che nel nuovo film, in Giappone come in Italia, hanno richiamato in servizio quasi tutti i doppiatori storici. Oltre a Ryo e Kaori Makimura, ritroviamo il gigante Umibozu e Saeko Nogami nel loro Cat’s Eye... più tre guest star d’eccezione: proprio le proprietarie del locale a loro intitolato!
Kodama ricorda bene quale benedizione è stata incrociare sul proprio cammino Hojo. In principio c’era stata la seconda stagione di Occhi di gatto nel 1983 (quella a onor del vero meno amata dal pubblico), quindi City Hunter che lo ha tenuto sulla breccia per anni, prima di cedere al fascino del moccioso di Detective Conan e relativi film campioni di incasso. Kodama aveva diretto City Hunter a briglia sciolta, imprimendogli uno stato d’animo e un senso dello spettacolo impermeabile al trascorrere del tempo. Si era trovato talmente a suo agio con la serie da scherzarci pure sopra, arrivando addirittura a mostrare in uno degli episodi una lapide tombale con il suo nome inciso sopra. Ritrovare Ryo dopo così tanto tempo deve essergli sembrato un gioioso déjà vu, grazie alla presenza di parecchi collaboratori di allora, più alcune nuove leve che erano giovanissime quando la serie andò in onda. Tra action e comicità, così ben collaudate da non farci avvertire il passaggio del tempo ma che in effetti Kodama aggiorna ai tempi tecnologici di oggi, due sono le novità più grosse di City Hunter: Private Eyes. Una è la storia originale scritta da Yoichi Kato (noto per Yo-Kai Watch) appositamente per questo film, e in cui Saeba deve proteggere la modella Ai Shindo dalle minacce di loschi individui. L’altra è il character design curato da Kumiko Takahashi, in sostituzione della ben più amata Sachiko Kamimura: l’animatrice in carica dal giorno uno della serie tv e fedelissima allo stile di disegno di Hojo. Fedele eppure in grado di lasciare un tocco femminile in un serial che in teoria doveva piacere soltanto ai maschietti.
Non di solo mokkori si vive, però. Ne è convinto assertore Akira Tamiya, la vera star di City Hunter. Alla veneranda età di 72 anni, Tamiya-san è tornato a essere la voce di Ryo: vertice di una carriera intrapresa quasi cinquant’anni fa accanto a leggende quali Yasuo Yamada (la storica voce originale di Lupin III) e Goro Naya (voce nipponica dell’ispettore Zenigata). Tamiya sognava il teatro, invece è finito dietro un microfono interpretando personaggi stravaganti tipo il lottatore di wrestling di Kinnikuman o il leggendario Kenshiro di Ken il guerriero. Tamiya-san ha da tempo scoperto il fascino segreto di Ryo Saeba: un mix di commedia e serietà, che lo fa apparire gentile e premuroso ma anche totalmente fuori di testa. Per il ruolo in Private Eyes, l’attore ha tuttavia atteso una settimana prima di accettare, preoccupato di come affrontare il personaggio dopo una così lunga pausa. Con il sostegno del produttore di allora di Yomiuri TV Michihiko Suwa, che ha continuato a supportarlo anche dopo la conclusione della serie, Tamiya ha lavorato un intero anno prima di entrare in sala di registrazione. Qui ha ritrovato i vecchi compagni di lavoro compresa Kazue Ikura, la voce di Kaori, e il tempo si è magicamente riavvolto su se stesso. E se è vero che, come afferma lo stesso Ryo, un uomo come lui “è necessario in questa città”, Tamiya-san gli fa eco ripetendo una sua ferrea convinzione. E cioè: di Ryo Saeba c’è incredibilmente ancora molto da scoprire.