Tratto da un grazioso romanzo per l’infanzia scritto nel 1985 da Eiko Kadono – autrice molto popolare in patria e vincitrice del Premio Andersen 2018 – il film non ha nulla in comune con tutti gli anime tv della nostra infanzia dove le maghette erano dotate di tanti poteri, mostrandosi prodighe e altruiste verso il prossimo. Alla sua età Kiki deve infatti decidersi a lasciare il rassicurante tetto familiare e fare esperienza nel vasto mondo là fuori. Ma l’indipendenza personale ed economica non è un obiettivo così facile da raggiungere...
Un anno prima dell’uscita della pellicola, sull’argomento Miyazaki si esprimeva così: «La vera indipendenza con la quale le ragazze oggi devono confrontarsi coinvolge il sempre più distante obiettivo di scoprire ed esprimere il proprio talento nella vita». Per questo in Kiki - Consegne a domicilio, Miya-san ha voluto raccontare il genere di cose che avvengono nella vita reale. Pur scatenando la sua formidabile immaginazione, compreso il vizio di far volare buona parte dei suoi personaggi, ha subito messo in chiaro le tematiche che gli stavano a cuore: spiegare al pubblico cos’era l’adolescenza alla fine degli anni Ottanta, ricercare un qualche talento, relazionarsi con gli altri. Tutte attività che Kiki si ritrova a gestire con la sola compagnia del gattino nero Jiji, finendo poi per perdere momentaneamente il potere di volare quando cade in depressione. La sua unica forma di libertà è stare a cavallo della scopa di saggina mentre sfreccia tra le nuvole.
Come molti appassionati già ben sanno, la giovane protagonista del film ricordava a Miyazaki tutte le giovani donne che lasciavano la provincia per trovare occupazione a Tokyo nella speranza di diventare fumettiste o di impiegarsi nell’industria dell’animazione (sono circa 300 mila i giovani giapponesi che sognano ogni anno di svolgere tali professioni). In loro difesa, oltre alle stupefacenti immagini del film, Miyazaki aveva già confezionato un monito da trasformare ben presto in manifesto esistenziale: «Ciò che desidero dire a tutte queste ragazze è che se anche il mondo si rivela molto complicato, esse possono trovare dentro di sé la forza sufficiente per farcela. Ma occorre però ridestarla quella forza d’animo!».
Un modo pratico per realizzare tale proposito lo ha offerto proprio il suo film. Grazie agli oltre 2 miliardi di yen incassati in quella stagione (superando il record di un altro film animato di culto: Corazzata Spaziale Yamato), Kiki - Consegne a domicilio ha reso possibile un vecchio sogno di Miyazaki: avere uno staff fisso di dipendenti pagati regolarmente ogni mese, avviando ufficialmente il neonato Studio Ghibli nella formidabile spirale di successo e astuto marketing che lo ha imposto agli occhi del mondo (per la cronaca: tra i produttori della pellicola figurava la Yamato Takkyubin, una delle più grandi compagnie di consegne rapide del Giappone che ha per logo proprio un gattino nero).
Eppure, all’inizio non era stabilito che fosse lui a dirigere il film. Quando il progetto arrivò in mano ai produttori nel 1987, Miya-sani pensò fosse giusto affidarne la realizzazione ai membri più giovani dello staff, tra cui l’animatore fenomeno Katsuya Kondo al quale chiederà di curare il design dei personaggi. Poiché la sceneggiatura che gli presentarono non lo colpì particolarmente, decise di riscriverla egli stesso. In seguito, quando il regista designato si tirò indietro intimorito dal compito affidatogli, Miyazaki prese le redini dell’intero progetto mentre era ancora impegnato con Il mio vicino Totoro, immaginando le location di Kiki sulla scorta dei paesaggi scandinavi visitati da giovane e perfino immaginando i poster della pellicola con spirito anticonformista (quello che non vide mai la luce ritraeva la giovane Kiki accomodata sulla tazza del gabinetto…).
Soprattutto, il sapore agrodolce dell’adolescenza ritratta in Kiki - Consegne a domicilio, lo distolse per qualche tempo dalle principesse e dalle eroine dei suoi precedenti film, facendogli dimenticare i mondi fantastici e avventurosi che lo avevano consacrato agli inizi degli anni Ottanta. Assieme a alla maghetta Kiki, Miyazaki soggiornò per cento minuti nel mondo complicato e autentico degli adolescenti. E da lì finalmente spiccò il salto verso il più luminoso degli orizzonti artistici e professionali.
– Mario A. Rumor